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“Il capitalismo è al limite, la sinistra non ha risposte”

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“Il capitalismo è al limite, la sinistra non ha risposte”

Gli Ex ragazzi della Fgci. Intervista a Gianfranco Nappi pubblicata su l’Unità del 30 Gennaio 2024

Parla Gianfranco Nappi «Ha saturato tutti gli spazi di espansione, o si affermerà un altro modo di immaginare il mondo o il mondo si dividerà sempre più tra una maggioranza oppressa e una minoranza asserragliata nel suo finto giardino incantato. Intanto il dibattito è: Schlein ce la fa alle europee?»

di Umberto De Giovannangeli

Della FGCI è stato un pezzo di storia. Nella sua Campania, e a livello nazionale. La FGCI della lotta alla camorra, per il lavoro e la pace. Un bagaglio di esperienze, e di idealità, che Gianfranco Nappi ha portato con sé nella sua intensa vita politica, a livello nazionale – è stato parlamentare del Pci e dei Progressisti – e negli incarichi regionali: capo della segreteria del presidente della Regione Campania Antonio Bassolino, e assessore all’agricoltura. Dirigente e “pensatore”. È autore di diverse pubblicazioni. Ha fondato la rivista bimestrale Infiniti Mondi.

Il prossimo 10 febbraio a Firenze si terrà “Allonsanfàn”: l’incontro “delle ragazze e dei ragazzi della Federazione Giovane Comunista Italiana degli anni ’70-‘80” Di quella FGCI sei stato militante e dirigente nazionale. Cosa è stata quella “spinta che voleva cambiare il mondo” e che ne è rimasto oggi?

Quando cominciavo la mia militanza a metà degli anni ’70, il problema che avvertivamo era quello di qualificare il tipo di relazione con il soggetto operaio, classe e movimento insieme. Qualificarlo, perché avvertivamo un limite in ogni referenzialità pre-determinata e uni-direzionata. Il valore della classe operaia e del movimento operaio erano per noi riferimento fondamentale ma avvertivamo tutto il bisogno di un allargamento dell’orizzonte, di guardare alle nuove e diverse contraddizioni che avanzavano e si incrociavano con quella classica capitale-lavoro, al di fuori di ogni ristretto economicismo. E così, si veniva ponendo tutto il tema femminile e femminista che non poteva essere certo considerato come un’aggiunta ma come una contraddizione che informava di sé il tutto; e quello ambientale in modo sempre più forte e sentito: Legambiente nacque in quegli anni con il nostro concorso diretto. E poi tutta una discussione sul ruolo del sapere e dei lavoratori della conoscenza come nuovi riferimenti per una soggettività critica: vi si impegnò ad inizi anni ’80 perfino il Comitato Centrale del PCI con una innovativa relazione di Aldo Tortorella. E anche sul tema del lavoro si aprì una tensione tra noi, le leghe e i movimenti giovanili per il lavoro e il sindacato e la stessa CGIL che vedevamo chiusa rispetto al bisogno di allargare la sua capacità di rappresentanza nei confronti del lavoro precario e degli stessi disoccupati. Fino alla grande marcia del lavoro che a metà degli anni ’80 vide oltre 200.000 giovani provenienti da tutto il Sud riempire la Villa Comunale di Napoli.

Quella di cui hai fatto parte, da militante e da dirigente, è stata la FGCI del terremoto che sconvolse la Campania. Una prova del fuoco.

Vivevamo in quel tempo l’orgoglio e la forza che veniva dalla valorizzazione di pratiche nuove e di grandi esperienze di movimento: centrali furono il movimento per la pace, anche per le sollecitazioni enormi di cultura politica che vennero dal confluire di culture e sensibilità che sembravano tanto diverse e, proprio per una intera generazione non solo meridionale, tutto l’impegno di solidarietà nei comuni colpiti dal terremoto dell’80 e l’esperienza del grande movimento contro la camorra e la mafia. Non è un caso che il grosso della mia generazione si sia ritrovata in modo direi quasi intimo con la svolta che progressivamente Enrico Berlinguer impresse in tutti i campi dal dopo terremoto dell’80. Quella FGCI poi è stata protagonista del tentativo di riforma della politica più impegnativo che si visse a sinistra in quegli anni, nato in continuità con quello sforzo berlingueriano e che, ormai senza Berlinguer, vide nascere per impulso di Alessandro Natta, Aldo Tortorella, Marco Fumagalli il congresso della nuova FGCI del 1985 a Napoli con Pietro Folena: una organizzazione che si disarticolava per Associazioni e Centri di iniziativa su grandi temi, per provare, per questa via, a costruire una ri-composizione successiva che si avvalesse degli apporti derivanti proprio da questa più forte capacità di calarsi nelle contraddizioni e nelle pieghe di una società giovanile che già preannunciava gli elementi di articolazione e di frantumazione delle soggettività nei confronti delle quali le organizzazioni tipiche del ‘900 non riuscivano più ad essere al passo. Poi venne l’‘89-’91 e si consumò definitivamente la ritirata della sinistra. E quelle generazioni, nel passaggio che portò allo scioglimento del PCI, si frantumarono, in qualche modo si dispersero.

Quella FGCI era pacifista, praticava la non violenza e aveva una forte vocazione internazionalista. Tutto archiviato?

Certo oggi assistiamo al paradosso tale per cui al tempo in cui il mondo si è fatto più piccolo e interconnesso la sinistra invece si è chiusa nei recinti nazionali e provinciali. È testardamente da qui che devi ripartire, se vuoi recuperare una prospettiva: che sguardo hai sul mondo? Come lo vedi? Come ti ci rapporti? Devo dire che molto di quella formazione originaria è rimasto proprio nelle generazioni di cui stiamo parlando: essendo state le ultime a formarsi in uno sforzo teso a costruire nessi nuovi tra politica-sinistra-società, questo ha dato loro un imprinting peculiare, di cui qualcosa nel tempo è rimasto nei più e in qualche modo è unico ancora oggi. E non è un caso che, pur avendo poi compiuto scelte del tutto diverse e in alcuni casi contrapposte nelle vicende della sinistra e della sua crisi, ci ritroviamo sempre più spesso e sempre con curiosità e piacere in questi appuntamenti di reunion degli ex-FGCI. Fino al punto di porci la domanda che è vissuta a Cinisi lo scorso anno, grazie all’impegno dei compagni siciliani e vive anche qui a Firenze con l’impulso della non doma Marisa Nicchi e che fin dall’incontro di Roma e poi di Napoli e venuta ponendoci quella ragazzina di Luciana Castellina: ma non c’è qualcosa che, pur così diversi, e pur con tanti capelli bianchi, possiamo fare noi, insieme, oltre il piacere di ritrovarci? Di cosa possiamo metterci al servizio visto che abbiamo un’esperienza fatta di politica e delle tante cose che abbiamo fatto dopo, che può essere utile alle generazioni più giovani, senza alcuna velleità di ritorni in campo politico: perché, per dirla con il grande Gassman, noi, un grande futuro, l’abbiamo dietro le spalle. Poi, ad essere precisi, quella dispersione è stata tale da Fumagalli in poi diciamo così: perché la generazione immediatamente precedente, per oltre un quindicennio la sinistra l’ha avuta nelle sue mani: non voglio sottovalutare anche risultati ottenuti ma il segno complessivo di quella esperienza è stato del tutto negativo e ha condotto, passo dopo passo, all’evaporazione (il termine non è mio ma di Pietro Folena e c’azzecca secondo me), della sinistra. Alfredo Reichlin in uno dei suoi ultimi contributi ebbe a sintetizzare tutta questa parabola che potremmo anche definire di dismissione in un’espressione concentrata:”… e alla fine diventammo liberali”. E come disse Peppino De Filippo a Totò. “…ho detto tutto!”. Ma forse proprio qui c’è anche il segno di quel che serve per riaprire un discorso nuovo. Trent’anni dopo lo possiamo vedere meglio tutti. Anche quelli che invece come me, pure loro sconfitti, hanno cercato di tenere aperta un’altra prospettiva politica per una sinistra critica, anch’essa sommersa. La sinistra, se non riparte da qui non so cosa sia, ma certo sinistra non è.

Lotta di classe, una visione ecopacifista della crescita, la difesa dei più indifesi, a cominciare dai migranti che continuano a morire nel Mediterraneo, una effettiva parità di genere, mobilitarsi contro il genocidio in atto a Gaza …Una sinistra che non è all’altezza di queste sfide, può ancora definirsi tale?

Qui la dico in modo semplice: serve un pensiero nuovo sul Mondo, perché in caso contrario, da dove la prendi prendi, non c’è riparo alcuno. Il Mondo ti travolge. E se non c’è una sinistra che matura e fa vivere nella società un suo pensiero critico sul Mondo, la risposta che rimane è quella della destra, hai voglia di sbatterti. E non è un caso che questa risposta cresce in Europa e oltre Atlantico. E allora è proprio su questo terreno, di cultura politica anche, che dall’esperienza di quelle generazioni politiche che si riuniscono a Firenze, forse potrebbe venire un contributo significativo. Tu mi chiedi di lotta di classe. Io ti dico: vogliamo riprendere un discorso sul capitalismo, mai così imperante e mai così nascosto nel discorso pubblico?

L’Unità è qui per questo.

E qui la mia tesi è molto netta e così te la voglio esporre: questo capitalismo reale, per come l’abbiamo visto noi, per come ha battuto anche l’assalto al cielo novecentesco del movimento operaio, per come ha saputo trasformarsi ulteriormente e divenire finanziario, digitale, cognitivo, estrattivo e sempre di più capace di inglobare il mondo intero è in procinto di finire. Ha raggiunto un punto limite. Ha saturato tutti i residui spazi di espansione. Gli rimangono l’infinitamente piccolo della genetica e l’infinitamente grande, dello spazio: e le novità che si annunciano da questi piani sono tutto tranne che entusiasmanti per l ‘umanità. Ma questa ‘fuga’ verso altri mondi non può eludere lo stadio deflagrante di rapporto devastante e di consumo dissennato del Pianeta Terra cui siamo giunti. Si avanza così un tempo nel quale saranno all’ordine del giorno, sempre più, scelte difficili che ci parlano di bivi successivi di fronte all’umanità nei quali, la via di mezzo, l’escamotage, il riformistico prender tempo sarà sempre meno possibile. È questo limite raggiunto che dischiude due prospettive diametralmente opposte. O si affermerà gradatamente ma rapidamente un altro modo di vedere e di immaginare la vita del pianeta, sul pianeta, con il pianeta superando le tre illusioni più perniciose di questa modernità: quella di un mondo unipolare a misura di Occidente; quella della società dell’1% che comanda e di tutti gli altri che, in un modo o nell’altro con gradazioni diverse, sono asserviti. E poi la terza, l’illusione della tecnologia come via di fuga di fronte alle contraddizioni perché invece è proprio un sapere sempre più sociale e nella logica della cooperazione versus competizione che sta oramai la possibilità di un salto del sapere e della tecnologia che per davvero potrebbe dischiudere all’umanità una prospettiva diversa. O si andrà verso un tentativo di contrastare gli effetti sociali e ambientali e i livelli inusitati di ingiustizia che tutti recano sempre di più con sé, con nuove forme di oppressione e di dominio sulle masse popolari, passando per conflitti armati, crisi ambientali e umane ed un vincolo stringente dell’innovazione tecnologica e del sapere, nel verso come nel metaverso, a questi fini volta, in un mondo che vedrà una sua larga parte condannato o all’invivibilità o a condizioni di vita comunque sempre più difficili ed una sua esigua minoranza invece reclusa in un giardino sempre più incantato e finto, circondata da muri e fili spinati per mantenere le condizioni del proprio dominio. E con la guerra che diventa in modo tanto drammatico quanto incontrastato, strumento di risoluzione delle controversie internazionali, dall’Ucraina al Medio Oriente. E allora capisci bene quanto sia lontano da questo livello delle risposte da dare lo stato delle cose a sinistra oggi in Italia, come in Europa, tutto avvitato su sé stesso: Schlein ce la fa? Supera le Europee? Oppure, cosa si può fare per intralciarla? E Conte invece ce la fa a prendere più voti? E cosa può dare più visibilità al frammento della sinistra critica? Dico questo, sia chiaro, con profondo rispetto per chi oggi fa politica attiva ancora in tutti questi partiti e movimenti. Ci sono lì energie e passioni significative per la democrazia e la sinistra. Ma ci sono una costituzione materiale e una forza inerziale che da lì dentro non spezzi. È solo dall’esterno che possono essere spinti a cambiare e recuperarne le riserve migliori: lì non si ritrovano le risposte che servono e che urgono.

Vale a dire?

C’è tutto un mondo – milioni di donne e uomini nel nostro paese – sociale, di movimento, di produzione culturale, di volontariato, di pratiche innovative, di mani sporcate nell’azione feconda nella società dei bordi, che nella crisi della politica è cresciuto in questi anni e che è posto anch’esso di fronte ad una domanda stringente: come reggere di fronte all’attacco generale che l’investe in pieno e tende a ridurne gli spazi o a concepirlo solo in una dimensione caritatevole e purché non metta in discussione le ragioni di fondo del riprodursi dei meccanismi di asservimento dell’uomo e della donna? Io penso che esso sarà costretto a porsi il problema di come dare corpo concreto alla politicità di quel che fa, in forme originali. Ecco qui io vedo una speranza concreta per il futuro prossimo. Vale anche per il sindacato questo e per la CGIL. E infatti io immagino che la Via Maestra sia una delle risposte da coltivare con cura. È con questo mondo che ad esempio in Campania in questo momento con la Rivista a cui abbiamo dato vita ormai da otto anni con un collettivo in larga misura di ‘senza casa’, Infiniti Mondi, e il titolo dice già molto, siamo impegnati con oltre 100 tra Associazioni, categorie sindacali, singole personalità nell’esperienza inedita di una mobilitazione per una legge di iniziativa popolare regionale per fronteggiare i cambiamenti climatici e per una strategia radicale di conversione ecologica incrociando giustizia sociale e giustizia ambientale.

Di quella storia, di quei valori, di quell’impegno collettivo cosa ti porti dentro e cosa pensi sia ancora attuale?

Tutto quello di cui abbiamo discusso fino ad ora, così come in tutti i dialoghi che hai già avuto con protagonisti ben più importanti di me, interroga un presente che ha bisogno di un altro pensiero, di un altro punto di vista. E in questo ci vedo una sensibilità che forse non si è smarrita utile proprio per questa ricerca. Un esempio. Come non ricordare che fu nell’86 che proprio a Napoli si tenne la festa nazionale della FGCI Africa? C’è qualcosa di più attuale di questo? È stato già detto tutto? Neanche per sogno. Il più è tutto da scrivere, e può essere affascinante proprio per le giovani generazioni di oggi. Ma ti poni il problema di scriverlo se non dismetti proprio quello sguardo curioso e radicalmente critico sul presente e sul Mondo. Ed è con questo stesso spirito che io credo bisognerebbe promuovere una grande mobilitazione nazionale sul Mediterraneo, sul futuro dell’Africa (ma la possiamo mai lasciare alla strumentalità della Meloni?), sulla questione palestinese: sono questioni nostre, nessuno si illuda. Ne parliamo a Firenze?

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