Marisa Nicchi ripercorre i motivi che hanno portato alla “reunion” di Firenze
È stato l’interrogativo che ha portato compagni/e delle diverse Fgci della Toscana a promuovere l’incontro di Firenze del 10 febbraio 2024 per ripensare la stagione politica ed ideale degli anni ’70 e ’80.
Appartengono alla seconda parte dei quarantuno anni di storia della Fgci del dopoguerra, dal 1949 al 1990, da Enrico Berlinguer a Gianni Cuperlo.
Decenni cruciali per la democrazia e per la sinistra del nostro paese senza eguali per le speranze suscitate, per le tempeste affrontate, per le prove sostenute.
Un’iniziale titubanza, suscitata dal possibile paragone con le cene di vecchi compagni di scuola, è stata rimossa dal desiderio di ritrovarsi… dopo il “tempo scivolato su di noi”.
In quegli anni a muovere i giovani verso la politica e il PCI fu anche l’irrequietezza esistenziale, tratto comune di una partecipazione spesso baldanzosa, sempre alimentata da idee e culture politiche che hanno forgiato la vita di tanti e tante. Da lì hanno preso le mosse figure di primo piano nella politica e nelle istituzioni nazionali e locali.
Riflettendo su quel periodo, come un gomitolo che si srotola man mano che procede la tessitura della tela, non si sono messi in moto soltanto ricordi e pensieri, ma si sono accesi nuovi propositi.
Oltre il piacere di ritrovarsi, si è fatta avanti la necessità di provare a ricostruire in modo più organizzato quelle trame di esperienze, oggi documentate in modo frammentario, e di propiziare un lavoro di ricerca che raccordi memoria e storia.
Sono emerse domande e con esse la voglia di condividerle. Ci siamo chiesti/e se in quell’orto ci siano semi ancora fertili, cosa è andato definitivamente perduto e cosa potrebbe avere ancora valore?
È una ricerca che vorremmo fare in modo aperto, con leggerezza, escludendo ogni reciproca recriminazione, purtroppo sempre in agguato nella sinistra.
Negli anni ci sono state altre reunions: “Insieme per Angela” (Modena), Fgci on the road (Roma), Jamm Fgci (Napoli) e Amunì (Palermo). Da lì, ove erano più presenti le ultime generazioni FGCI, sono nate connessioni e proposte.
“Allonsanfàn” a Firenze è stata pensata su quella scia, e anche con lo scopo di coinvolgere altre esperienze territoriali e anche altre generazioni, come la Fgci degli anni 70.
Qui ci interessa in particolare mettere in luce il ruolo svolto dalle militanti e dalle dirigenti femminili. Una meravigliosa rete di donne cresciuta sulla frontiera tra femminismo e la tradizionale organizzazione giovanile comunista.
Una tensione aspra, che tuttavia non è arrivata a causare lo scioglimento delle formazioni politiche come accadde ad altre organizzazioni degli anni ’70.
La narrazione delle FGCI tutta al maschile, come farebbe intendere la sequenza mono- sessuale dei segretari nazionali, non dà conto di una parte fondamentale della sua esistenza.
Le ragazze delle Fgci sono state le più contaminate dal nascente movimento autonomo delle donne che faceva emergere una materia “oscura” per la politica: il corpo, la sessualità, l’aborto, il rapporto tra i sessi, la violenza maschile sulle donne, i sentimenti, i sogni. Uno rivolgimento che aprì un conflitto con la Fgci e ancor più nel PCI, visto che ne veniva negata la “politicità”. Conflitto in parte vissuto con la “doppia militanza”. Paradigmatica fu la questione del riconoscimento della decisione delle donne sull’aborto.
La pratica dell’autocoscienza, delle riunioni e delle manifestazioni di sole donne, cozzerà con le tradizionali modalità di fare politica e sarà levatrice di una presa di coscienza femminista di molte giovani donne della Fgci. Si aprirà una dialettica serrata con la storia precedente dei movimenti femminili emancipazionisti. Anche di questo vogliamo parlare.
Dunque, Allonsanfàn. Il nome si rifà al titolo del film del 1974, scritto e diretto dai fratelli Taviani, una fusione italianizzata di “Allons enfants”, le parole che aprono La Marsigliese. Un’esortazione ad andare… a Firenze, il 10 febbraio 2024.
Un invito a chi è stato parte attiva, comunque, di quella fase politica.
Sarà bello ritrovarsi. Rivedere con una diversa consapevolezza quell’entusiasmante intreccio tra gioventù e impegno politico, talvolta totalizzante, che le diverse generazioni FGCI hanno vissuto e che ha profondamente segnato ciascuno/a. È possibile che convivano, forse già in ognuno di noi, il distacco e l’idealizzazione. Quello che vorremmo recuperare è l’esercizio alla analisi della complessità che abbiamo appreso anche grazie alla militanza nella FGCI.
Ricordiamo bene le relazioni che partivano dalla situazione internazionale per arrivare al quartiere, connettendo fatti e idee con la lente della cultura critica. C’erano fervore ideale e studio, ovunque, da nord a sud, dalle grandi città ai piccoli centri.
Le generazioni “figgicciotte”, con più o meno intensità ed in modi diversi, non sono state la lunga mano del PCI tra i e le giovani, ma sono state un soggetto con uno sguardo autonomo, che sceglieva di calarsi nelle nascenti realtà sociali, misurarsi con le nuove sfide culturali. Non senza limiti e contraddizioni, ma così è stato, diversamente da certe chiusure del partito, davanti a momenti e temi fondamentali: il movimento del ’68, del ’77, della pace, dell’ambientalismo. Del movimento delle donne ho detto. Perché il rapporto col PCI non è stato rose e fiori, e pure tra noi non sono certamente mancate visioni diverse e contrasti.
Eppure, in quei decenni molti e molte giovani hanno avuto l’opportunità, unica, di vivere un pezzo di vita decisivo per la loro formazione dentro una corrente di discussione di massa, in una comunità spinta da idealità e ricerca culturale, ricca di relazioni umane e vicinanze che, nonostante le differenze, hanno saputo reggere nel tempo.
Da allora non pochi e poche si sono persi di vista. Anche per questo sarebbe piacevole ritrovarsi.
Forse, ciò di cui parleremo potrà incuriosire coloro che, oggi, fanno politica, o la vorrebbero fare. Magari, figli/e che hanno sentito parlare di grandi manifestazioni, picchetti, congressi, vita dei circoli, feste, campeggi, viaggi, seminari, libri, musiche, film, radio libere, concerti, manifesti da appendere in camera o da attaccare di notte negli spazi pubblici, tessere da sottoscrivere, volantinaggi davanti alle scuole e alle fabbriche, balli e canti, leader politici da ascoltare con rispetto, intellettuali da studiare, mondi da conoscere, relazioni e articoli da preparare, socialità che apriva case e creava condivisione.
Una cosa è certa: fu passione politica genuina e ricerca culturale straordinaria mossa proprio da “quella spinta che voleva cambiare il mondo”. E di questo, nei modi adatti ai tempi incerti e oscuri che stiamo vivendo, c’è ancora enorme bisogno.
Allonsafàn!
Marisa Nicchi