Bruno Marasà, di Enna, già responsabile esteri Fgci 1976-78 scrive a Allonsanfàn
Bruno Marasà è stato responsabile Esteri della Fgci dal 1976 al 1978. Nasce a Enna l’11 agosto del 1953. Ha trascorso l’infanzia nella sua città sino al compimento degli studi superiori, diplomandosi presso il Liceo Scientifico. Nel 1969 comincia a dedicarsi all’attività politica nel movimento studentesco e all’interno di varie associazioni giovanili. Si iscrive alla Federazione Giovanile Comunista Italiana (FGCI) e ne diventa dirigente locale e nazionale. Ha voluto indirizzare a Allonsanfàn (10 febbraio 2024, Firenze) questi suoi pensieri…
Care compagni e cari compagni (si diceva così allora),
vi scrivo perché sono in convalescenza e non posso viaggiare (tutto bene però). Altrimenti sarei con voi per questa bella, vorrei dire eccezionale, ritrovata. L’avete chiamata con un francesismo, “allonsanfàn”, che mi ha fatto pensare al seguito… “de la patrie” e, subito dopo, alla famosa “Nostra patria è il mondo intero”. Canto un po’ anarchico ma in qualche modo lo si potrebbe dire, o cantare, lo stesso in ragione di quello che era una volta l’internazionalismo a cui pensavamo.
Ed in effetti, se penso alla mia responsabilità agli esteri della FGCI (76-78), devo pur dirvi che di questo internazionalismo ne sono stato largamente testimone, partecipando a decine di meetings nei quali ritrovavamo giovani africani, dell’America Latina o dell’Asia. Lo so, c’erano anche i sovietici e quelli dell’Europa orientale.
Quelli dell’Europa occidentale (allora era così, il mondo in due parti come una mela spaccata a metà) c’erano pure e non solo loro, c’erano per esempio ed erano molto forti gli Jusos, giovani socialdemocratici tedeschi. E c’erano, tra i tanti, i giovani comunisti svedesi, una organizzazione piccola ma combattiva che stava in qualche modo sulla scia di quanto aveva fatto Olaf Palme (li cito perché partecipai ad un loro Congresso).
Noi della FGCI avevamo una bella reputazione all’estero. Merito del PCI, naturalmente, che proprio in quegli anni aveva lanciato la proposta dell’eurocomunismo. Quella proposta aveva suscitato un grande interesse “universale” (a proposito di mondi); ironia e, qualche volta, sarcasmo non mancarono, ma era prevalente la curiosità e l’interesse, tanto più che nello stesso periodo Berlinguer aveva cominciato a prendere le distanze da Mosca.
Era difficile riportare nella FGCI, nelle sue organizzazioni sul territorio, il lavorìo che ci impegnava in quegli anni. Aveva soprattutto un valore diplomatico che però tra i militanti si rifletteva nell’antimperialismo, già figlio della lotta per il Vietnam e che in quel tempo si caratterizzava per la solidarietà al popolo cileno.
La sto facendo troppo seria, ma vorrei raccontarvi un episodio (che in realtà attraversa tutta la mia esperienza agli esteri). Proprio Berlinguer aveva chiesto a D’Alema, nostro segretario, di lavorare all’abbandono della presidenza della FMJD (Federazione mondiale della gioventù democratica), con sede a Budapest. L’avevamo dagli anni ’50. Proprio Berlinguer ne era stato Presidente e da allora gli italiani avevano avuto quella carica.
Dovevamo dirlo ai sovietici, ma con prudenza, senza minacciare rotture. Era questa la tattica di quegli anni. Cercare nuove vie, ma non rinnegare rapporti ancora esistenti.
Cominciammo a parlarne con i sovietici. Andavo spesso a Mosca e il mio principale interlocutore era Ghennadi Janaev. Per capirci: vi ricordate il capo della sedizione contro Gorbaciov, che tenne una conferenza-stampa praticamente mezzo ubriaco nel 1991? Era lui!
Comunque, riuscimmo nel nostro intento e al congresso della FMJD del 1978, a Berlino Est, non solo lasciammo la Presidenza ma riuscimmo a fare invitare gli Jusos, la cui leader Heidemarie Wieczorek-Zeul (nota come Heidi la rossa) intervenne al congresso. E a fare eleggere un cileno come nuovo Presidente.
Ho raccontato questo episodio per dire che anche noi nel nostro piccolo demmo un contributo serio a una visione nuova e più ricca del nostro essere comunisti.
Vi direi di altri episodi, più o meno importanti, ma preferisco concludere con il ricordo di Umberto Minopoli che (con la complicità di Claudio Velardi), durante uno dei miei viaggi all’estero, mise a soqquadro il mio ufficio di Via della Vite a Roma. Carte per aria e, forse, qualche sogno. Addio Umberto che te ne sei andato troppo presto.
Ciao a tutte e a tutti.
Bruno Marasà